“MAMMA… DO YOU SPEAK ENGLISH?”
I programmi riguardanti l’apprendimento della lingua straniera in età precoce si sono molto diffusi negli ultimi quindici anni. L’inglese è la lingua più insegnata tra le lingue straniere all’interno dell’Unione Europea. Oggigiorno il plurilinguismo in tenera età è considerato una competenza-chiave per le future generazioni.
Da un lato esso rappresenta una sfida politica per la formazione della cittadinanza europea, dall’altro esistono autorevoli studi nel campo della neuropsicologia e della psicolinguistica che ne evidenziano i notevoli vantaggi cognitivi. Nell’ultimo decennio la scuola italiana ha raccolto questa sfida educativa proponendo un accostamento alle lingue straniere che interessa non solo il ciclo primario ma anche la scuola dell’Infanzia.
Già dall’età di un anno e mezzo, due, un bambino può essere messo nelle condizioni di esplorare altre lingue, ascoltando musica, giocando e guardando cartoni animati.
In questa fase iniziale è importante che il bambino capisca, imparando a percepire i suoni e a distinguerli da quelli della lingua madre: la fonetica è in questo momento più importante di ogni regola grammaticale o sintattica.
Una ricerca effettuata dalla University of British Columbia di Vancouver, e pubblicata sulla rivista Science, ha analizzato come i piccolissimi riescano addirittura a capire se chi sta parlando sta utilizzando la propria lingua madre o una lingua straniera. Ma non solo, secondo i ricercatori canadesi infatti i bimbi, sebbene non riescano ancora a parlare, sono però capaci di distinguere la loro lingua natale dalle altre, di identificare i differenti suoni delle consonanti e delle vocali, e addirittura di riconoscere le differenze fra il ritmo della propria lingua e pertanto le parole e le lingue apprese nei primi cinque anni di vita si rafforzano nel loro significato e si mescolano alle informazioni pratiche apprese nel corso della crescita.
Al contrario, le lingue straniere imparate dalla scuola Primaria in poi restano una informazione immagazzinata esclusivamente come conoscenza a se stante in un’altra area del cervello, priva dei riferimenti diretti alle esperienze acquisite.
Ne consegue dunque l’esigenza di intraprendere percorsi di lingua straniera già dagli anni della scuola d’Infanzia. Le soluzioni da adottare sono molteplici: si và dal burattino che parla una certa lingua, all’introduzione della stessa durante le attività pratiche per denominare colori, forme, parti del corpo, a canti in lingua che accompagnano balli o sottolineano particolari eventi dell’anno o della giornata scolastica. A questi momenti introduttivi, è necessaria la profonda motivazione a comunicare una lingua diversa dalla propria, a costruire relazioni significative con l’insegnante e il gruppo dei pari, a riutilizzare poi le strutture apprese in altri contesti.
L’attenzione deve quindi essere posta all’ambiente circostante, un ambiente capace di mettere in moto il gioco della comunicazione. I percorsi possono divenire utili e formativi, far sorgere interessi, stimolare la costruzione di storie, dare senso e significato a quanto si stà conoscendo.
Ne consegue che per il docente di lingua straniera nella scuola d’Infanzia è necessario un profilo professionale derivante dall’integrazione di competenze disciplinari proprie della lingua da insegnare e di competenze di tipo psicopedagogico, didattico-organizzative, progettuali e valutative.
Articolo scritto dalla dott.ssa Rita Bimbatti, pedagogista e sociologa della salute
L’immagine riportata nell’articolo proviene dall’istituto Ada Negri di Lodi